GIRA LA MODA: CHE PIANTA!

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La canapa è tornata. E’ una coltura antica tipica dei nostri tempi che ha dato vita a un vero e proprio fenomeno di massa, oscillante tra toni enfatici o proibizionistici. Cercherò di raccontare qualcosa in più del molto che si sa, o che si crede di sapere, della canapa tessile, tralasciando i molteplici usi che le moderne ricerche scientifiche hanno aggiunto a quelli convenzionali perpetrati fin dagli albori dell’umanità.

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Dal punto di vista botanico, fu lo studioso svedese Linnaeus nel 1753 a catalogarla per prima come unica varietà erbacea a ciclo annuale col nome di Cannabis sativa. Attualmente gli studi genetici individuano tre principali specie: Cannabis sativa L., appunto, Cannabis indica Lam. (1785) e Cannabis ruderalis, anche se detta suddivisione non è condivisa da tutta la comunità scientifica. È una pianta rustica, di facile coltivazione che favorisce la rotazione delle colture per la quantità di sostanze organiche lasciate nel suolo.

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Alla specie Cannabis sativa L. appartengono tutte le varietà che contengono basse concentrazioni di THC (il principio stupefacente delta-9-tetraidrocannabinolo), note anche come Canapa Industriale, coltivabili e raggruppate in un elenco autorizzato dalla Comunità Europea, i cui semi sono forniti da aziende specializzate che ne devono fornire la tracciabilità. La canapa tessile quindi, è ottenuta da specie di Cannabis sativa L. e la varietà italiana Carmagnola*¹ è quella che dà la fibra tessile di migliore qualità e che ha permesso all’Italia di averne il primato qualitativo assoluto fino agli anni sessanta.

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È una pianta antichissima, tanto che uno dei dati archeobotanici più remoti di Cannabis sativa L. (come pollini e semi fossili) che ne testimoniano la sua presenza spontanea, è datato a 11-6 milioni di anni e rinvenuto in Bulgaria. In Italia risalgono a 11.500 anni a.C. quelli scoperti presso il lago di Albano in provincia di Roma, a 9000 anni a.C. in provincia di Potenza, e a 7000 anni a.C. nell’area del lago di Nemi.

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Allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, non c’è certezza sul luogo d’origine della relazione umana con la Cannabis, anche se l’ipotesi più probabile è quella nell’Asia centrale. L’agricoltura nasce nei periodi neolitici (all’incirca dal 10.000 a.C. al 3.500 a.C.) ed un insieme di dati fin ora accertati dimostra che la coltivazione più antica di canapa in Europa è documentata in Lituania (del 5.600 a.C circa); in Francia, nella regione di Bouches-du-Rhône (Marsiglia), con frammenti neolitici di fibra di canapa bluastra, ritenuti tinti probabilmente con la pianta del guado (Isatis tinctoria); in Italia, con pollini da coltivazioni rinvenuti nelle zone di Piacenza, Parma, Forlì, Lecco, datati tra il 4.500-4.000 a.C.
In Asia i dati più antichi sono documentati nel Giappone centrale, riferiti all’ 8000 a.C. circa (anche se non vi è certezza sulla loro natura agricola) e nella Cina centro-orientale al 4000 a.C. Nell’antico Egitto, l’importanza dell’uso della canapa è stata oggetto di discussioni fra gli studiosi e i reperti venuti alla luce sono scarsi. Resti di tessuto sarebbero stati ritrovati ad El-Amarna nella tomba di Amenhotep IV (noto come Akhenaton, padre di Tutankhamon), faraone che regnò nel XIV secolo a.C.

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Per i reperti scritti, è noto un vaso di bucchero (VII secolo)*² trovato in una tomba etrusca di Cerveteri, decorato con scene del mito greco degli Argonauti, raffiguranti gli stessi che stanno per imbarcare una lunga vela sul lato della quale c’è la scritta Kanna che è stata interpretata dagli studiosi come una traslitterazione etrusca del termine greco Kannabis, cioè canapa.
L’importanza di questo reperto è che anticipa di due secoli la più antica testimonianza scritta europea su di essa, che era quella citata dallo storico Erodoto in un passo sugli Sciti (V sec.a.C.).

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Venendo ad epoche meno remote l’utilizzo storico della canapa tessile è stato principalmente quello per le vele e i cordami in quanto fibra resistentissima e immarcescibile (non marcisce a contatto con acqua ed umidità), fondamentale per la navigazione; la fabbricazione della carta; come tessuto resistente ed economico.

Curiosità:
- Il cilicio, indossato da Girolamo Savonarola che ebbe un ruolo importantissimo nella Firenze di fine ‘400, era in grezzo filato di canapa e lana, visibile al museo di San Marco di quella città.

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- Furono stampate su carta di canapa alcune copie della Bibbia di Gutenberg a caratteri mobili (1453) e la prima stesura della Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti d’America (1776).
- C’è della canapa nella storia del jeans! Infatti, in epoca medievale, per necessità economiche si ideò un tessuto misto a base di cotone detto fustagno la cui fibra fece la fortuna degli importatori veneziani e genovesi. Questa robusta ed economica stoffa, destinata alla maggioranza plebea e agli abiti da lavoro, aveva la trama in cotone importato, ma gli orditi di canapa o lino ed era prodotto da fabbricanti italiani dell’entroterra ligure, piemontese e padano. È ritenuto l’antenato del jeans*³ soprattutto per il tipo di armatura tessile detta saia che produce le tipiche righe diagonali. A seguito di alterne vicende, all’uso del colore blu e del solo cotone, l’originario fustagno diventerà la stoffa di jeans inizialmente usata per pantaloni da lavoro (1873), e ritenuta uno dei materiali più rivoluzionari nella storia del costume.

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In merceologia tessile la canapa è classificata come pianta liberiana in quanto la fibra è ricava dal fusto esterno o libro, sotto forma di lunghi filamenti vegetali. Dette fibre liberiane sono costituite di cellulosa, sono cave ed igroscopiche (assorbono l’umidità) per cui danno al tessuto elevate capacità termoisolanti e traspiranti, che lo rendono fresco d’estate e caldo d’inverno. Tale tessuto è resistentissimo, anallergico, antisettico e con alte capacità di protezione dai raggi solari nocivi e di assorbire l’acqua (motivo dell’uso per biancheria da cucina). La macerazione è la fase fondamentale attraverso cui si attua la separazione tra le lunghe fibre vegetali esterne ed il fusto legnoso. Quest’ultimo, detto canapulo, è cavo ed è ora (f.11) ottimamente usato per la bioedilizia.

Fino agli anni cinquanta del Novecento, in seguito all’esplosione delle fibre sintetiche e alle concomitanti leggi proibizionistiche (probabilmente legate ad interessi economici oltre che alle problematiche stupefacenti), l’Italia era il secondo produttore mondiale per quantità dopo l’Unione Sovietica ed il primo per qualità, come abbiamo già detto; i due distretti principali erano nella Pianura Padana (zona del ferrarese) e nella provincia di Caserta. Ma nell’Italia contadina non v’era famiglia che non coltivasse un piccolo appezzamento per uso domestico allo scopo di ricavarne tessuti per la casa (fibre più pregiate), tessuti grossolani e rustici per sacchi e teli agricoli (fibre meno pregiate), corde e funi (fibre da cascami).

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Nell’interessante e rara pubblicazione sull’uso della canapa in Val Vibrata (Te)*⁴ (f.13) a cura dello studioso Giuseppe Di Domenicantonio (pubblicato dalla regione Abruzzo ed avente valore storico nazionale), oltre a metterne in evidenza l’aspetto sociale (necessità delle famiglie con figlie femmine allo scopo del corredo), riporta, con approccio scientifico e documentato da testimonianze orali e da un glossario con termini dialettali, i due metodi fondamentali che competevano in loco: quello emiliano, che prevedeva la macerazione dei lunghi fasci di canapa in acqua corrente, e quello campano che la prevedeva in acqua stagnante. E qui si innescavano dispute e gare, spesso mischiando metodi e tempi dei due dando vita a misteriose problematiche e a simpatiche filastrocche in rima di vena schiettamente popolare.

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Tutta la lavorazione era manuale e una volta che la canapa era stata raccolta in lunghi fasci (anche oltre i 4 metri) e messi a seccare sulle aie al torrido caldo estivo, (f.14) bisognava effettuare la macerazione in acqua.

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Più propriamente, la macerazione è un processo di fermentazione batterica allo scopo di sciogliere le sostanze pectiche che cementano le fibre liberiane tra loro e al fusto interno. Questa fase era molto delicata in quanto solo l’esperienza faceva capire il momento esatto in cui togliere i fasci dall’acqua e metterli di nuovo ad asciugare all’aria, evitando assolutamente temporali estivi o umidità che avrebbero potuto ammuffire la fibra e quindi macchiare il futuro filato. Una volta asciutti, avveniva la stigliatura, cioè la battitura a mano con pesanti travi di legno allo scopo di separare definitivamente i lunghi fasci di fibre dalla parte legnosa (f.15); questa fase che si svolgeva in più passaggi successivi (con attrezzi man mano più piccoli per cercare di togliere tutti i residui), era massacrante, sia per la fatica fisica che per le polveri urticanti unite al micidiale caldo estivo.

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I lunghi fasci di fibre ottenute, venivano poi pettinati attraverso tavolette chiodate (dette pettini, appunto) (f.16) che avevano lo scopo di togliere le ultime impurità, di allineare e separare le fibre migliori via via da quelle più scadenti. Solo a questo punto le fibre erano pronte per iniziare l’altro lungo processo della filatura, torcitura, tessitura manuale e della cura del tessuto lungo il greto dei fiumi (la cura consisteva in bagni di acqua e di sole alternati e ripetuti allo scopo dello sbiancamento dello stesso). Suggerisco, a chi possiede tessuti antichi di canapa di preservarli e conservarli come preziosi reperti di un vissuto storico, sociale e culturale irripetibili.

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Curiosità:
San Biagio, vescovo armeno contemporaneo all’Imperatore Costantino, è ritenuto anche protettore dei canapini e funai (nonché dei mali connessi alla gola, per cui è celebrato in molte parti d’Italia e d’Europa); tra i suoi attributi vi è anche l’attrezzo tipico del pettine chiodato con cui fu torturato. A San Benedetto del Tronto (AP), ogni 3 febbraio si svolge una festa in suo onore, atipica nel resto d’Italia, a ricordo dell’antica cultura dei funai, retari e canapini, attività fondamentali per quella cittadina di pescatori.

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- Al cinema con la canapa! Nel film del 1969 “007, al servizio di sua maestà”, nella scenografia di un rifugio Svizzero, vengono più volte inquadrati due pettini da canapa che, verso il finale del film sarà lo strumento di morte di un cattivo di turno, rimanendovi infilzato!

Nella Pianura Padana, dove c’ erano i maggiori centri produttivi destinati anche all’esportazione, la lavorazione avveniva con metodi semimeccanizzati (foto 18), facilitando di molto il lavoro umano ed il conseguente costo delle fibre. È possibile vedere alcuni macchinari usati fino agli anni ’50 al parco F.I.C.O.*⁵ (foto 19) di Bologna e al Museo della civiltà contadina di San Marino di Bentivoglio (Bo), dove sono ben illustrate anche le dinamiche sociali del lavoro agricolo nella canapicoltura e il fondamentale ruolo di quest’ultima nel regime delle rotazioni agrarie.

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Nella lavorazione industriale il Linificio e Canapificio Nazionale (ora detenuto dal gruppo tessile Marzotto), è la più prestigiosa azienda italiana del lino e della canapa fondata nel 1873; nel 1876 fu la terza azienda nazionale quotata alla borsa di Milano ed ampliò le sue dimensioni inglobando durante il secolo successivo, altre strutture operative fino all’attualità, con stabilimenti in Tunisia, Lituania e con sedi in provincia di Bergamo e Vicenza. Tranne questa storica azienda che si avvale di semilavorati europei, (f.20) in Italia non si produce filato di canapa mancando le strutture di prima lavorazione che necessitano di grandi investimenti. Inoltre, nel processo industriale, una prima macerazione avviene in campo lasciando a terra i lunghi steli falciati per favorire una prima fermentazione che però non evita l’umidità conferendo al filato finale un colore beige-grigiastro. Il mercato è pieno di filati di canapa cinese che hanno ottime caratteristiche e sottigliezze (titolo) quasi paragonabili alla seta, ma non soddisfa la problematica della sostenibilità avendo quel paese una legislazione assolutamente carente rispetto alle rigorose normative europee a tutela del consumatore e dell’ambiente.

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Come dicevamo all’inizio, oggi la canapa rappresenta un vero e proprio fenomeno culturale dovuto, oltre che all’exploit nell’uso ricreativo della canapa light, anche alla ricerca scientifica che ne ha evidenziato i molteplici usi: dalla farmaceutica alla cosmetica, dalla bioedilizia all’alimentare, dal tessile alle bioplastiche e alla tintura naturale. È molto probabile che la ricerca tessile-scientifica prossima sarà orientata a verificare ciò che l’intuito suggerisce, cioè, la scoperta di nuove straordinarie proprietà che aggiungeranno inattese e speciali caratteristiche di salubrità al contatto con la pelle, restando sulle fibre anche dopo il processo di lavorazione o la tintura naturale. Il futuro si preannuncia denso di positive sorprese.

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Curiosità: è merito della giovane start-up catanese Kanèsis il brevetto di una bioplastica di canapa, HempBioPlastic, adatta per stampanti 3D e che ha dato nuovo impulso alle bioplastiche da scarti vegetali(f.21). Era stato il costruttore automobilistico statunitense Henry Ford a prototipare, già nel 1937 la prima macchina con parti a base di canapa e ad anticiparne un futuro forse non molto lontano. Infatti è già sul mercato il motociclo Be.e dell’azienda olandese Van Eko, con scocca interamente in quel materiale.

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Nella mia piccola azienda artigiana abruzzese , realizzo bottoni di bioplastica Kanèsis (ne sottoscrissi il relativo crowfunding) attraverso una stampante 3D e i risultati rendono un aspetto rustico simile al legno (bioplastica da foglie) o di colore verde scuro (bioplastica da scarti di fiori di canapa) che, a mio avviso, conferisce loro uno stile autentico e deciso.

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La canapa è il mio progetto tessile del cuore grazie alla fascinazione per i tessuti antichi della nonna, e nel laboratorio di tintura ho sperimentato e commercializzato in esclusiva già dal 2015, la canapa autoprodotta nella tintura naturale. I risultati sono stati stupefacenti: un intenso, luminosissimo giallo che irradia tutta l’energia ed il vigore di questa meravigliosa pianta.

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NOTE
*¹ Carmagnola: questa varietà prende il nome dall’omonima località in provincia di Torino ove è presente un importante museo dedicato alla storica attività canapiera della zona. Altri importanti musei italiani dedicati alla canapa sono quello di Sant’Anatolia di Narco in provincia di Perugia e quello di San Marino di Bentivoglio in provincia di Bologna
*² vaso in bucchero conservato al museo etrusco di Villa Giulia, Roma;
*³ la parola jeans viene da Genova (da Gênes, alla francese), per indicare i tessuti di fustagno che arrivavano da quella città ligure.
*⁴ ”La Canapa in Val Vibratae la sua funzione economica e socio culturale”, Giuseppe Di Domenicantonio- edito dalla Regione Abruzzo-stampa Grafiche Martintype, Colonnella (Te)-1988
*⁵ F.I.C.O. acronimo di Fabbrica Italiana Contadina di Eataly World, parco del cibo fondato da Oscar Farinetti a Bologna. Vi troverete una sezione espositiva dedicata alla canapicoltura emiliana-romagnola molto interessante.

BIBLIOGRAFIA
-”La Canapa in Val Vibrata e la sua funzione economica e socio culturale”, Giuseppe Di Domenicantonio- edito dalla Regione Abruzzo-stampa Grafiche Martintype, Colonnella (Te)-1988
- “Blue de Gênes-Piccola storia universale del jeans”, Remo Guerrini-Mursia Editore-Stampa Press Grafica, Verbania-2009

SITOGRAFIA
Enciclopedia Treccani on-line
Vocabolario Treccani on-line
samorini.it/site/

 

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